CACTUS: attacco ransomware multi-fase coordinato. La ricerca di Bitdefender

 
 
 

Tratto da www.bitdefender.it/news – 28/02/2024

Si tratta di uno dei primi casi documentati di attacco simultaneo contro due aziende distinte a pochi minuti di distanza l’una dall’altra

Bitdefender ha pubblicato una nuova ricerca che ha rilevato che il gruppo ransomware CACTUS ha iniziato a lanciare attacchi multi-fase coordinati.

Dopo aver indagato su un attacco ransomware contro un’azienda non sua cliente, Bitdefender ha stabilito che CACTUS ha utilizzato una vulnerabilità del software meno di 24 ore dopo la divulgazione del POC. Dopo essersi infiltrato nella prima azienda e aver impiantato diversi strumenti di accesso remoto e tunnel su vari server, CACTUS ha individuato l’opportunità di spostarsi in un’altra azienda che fa parte della stessa organizzazione della prima azienda, ma che opera in modo completamente indipendente (reti e domini separati).

CACTUS ha scoperto le macchine che collegavano le due aziende e le ha colpite con estrema precisione e coordinazione a distanza di 5 minuti l’una dall’altra, e dopo 30 minuti ha paralizzato l’infrastruttura di virtualizzazione (comprese le macchine virtuali e i controller di dominio).

Bitdefender ritiene che il successo dell’attacco coordinato sarà implementato negli schemi di CACTUS e ripetuto anche prossimamente, poiché sono estremamente attivi.

Principali conclusioni:

  • CACTUS ha utilizzato una vulnerabilità meno di 24 ore dopo la divulgazione del POC per ottenere l’accesso alla prima azienda e ha poi distribuito strumenti di accesso remoto e tunnel sui loro server.
  • CACTUS ha scoperto che, nonostante le reti e i domini separati, le macchine di un’azienda erano presenti nella rete dell’altra, perché le due società fanno capo alla stessa organizzazione.
  • Gli attacchi sono avvenuti a distanza di cinque minuti l’uno dall’altro e hanno incorporato l’esfiltrazione dei dati, la crittografia dei dati e un attacco secondario contro le infrastrutture di virtualizzazione di entrambe le aziende.
  • CACTUS ha attaccato sia Hyper-V che VMware ESXi, mentre in precedenza era noto per colpire solo i carichi di lavoro Windows.

Bitdefender invita le aziende a mantenere uno stato di allerta elevato, ad applicare gli Indicatori di Compromissione trovati nella ricerca e a ridurre il rischio che l’attacco abbia successo applicando tattiche di difesa specifiche, tra cui l’impiego di tecnologie di rilevamento e risposta, l’applicazione di un rigoroso controllo degli accessi ai dati, la valutazione e la segmentazione delle reti per limitare gli spostamenti laterali non autorizzati.

La ricerca è disponibile qui.

15 Marzo 2024

Misure di sicurezza inadeguate: il Garante sanziona una Asl

 
Tratto da www.garanteprivacy.it – Newsletter del 23/10/2023
 

Sanzione del Garante privacy di 30.000 euro ad una Asl napoletana per non aver protetto adeguatamente da attacchi hacker i dati personali e i dati sanitari di 842.000 tra assistiti e dipendenti.

La struttura sanitaria aveva subito un attacco ransomware che attraverso un virus aveva limitato l’accesso al data base della struttura sanitaria e richiesto un riscatto per ripristinare il funzionamento dei sistemi.

Come previsto dalla normativa in materia protezione di dati personali, l’Asl aveva provveduto a comunicare il data breach al Garante che ha immediatamente aperto un’istruttoria sull’accaduto per verificare le misure tecniche e organizzative adottate dalla Asl sia prima che dopo l’attacco subito.

Diverse le importanti criticità rilevate dal Garante a seguito dell’attività ispettiva, come la mancata adozione di misure adeguate a rilevare tempestivamente la violazione dei dati personali e a garantire la sicurezza delle reti, anche in violazione del principio della protezione dei dati fin dalla progettazione (privacy by design). L’accesso alla rete tramite vpn avveniva infatti mediante una procedura di autenticazione basata solo sull’utilizzo di username e password. Inoltre, la carenza di segmentazione delle reti aveva causato la propagazione del virus all’intera infrastruttura informatica.

Nel sanzionare l’illecito il Garante ha tenuto conto del fatto che il data breach ha riguardato dati idonei a rilevare informazioni sulla salute di un numero molto rilevante di interessati, ma anche dell’atteggiamento non intenzionale e collaborativo della Asl. Dopo l’accaduto, l’azienda ha adottato una serie di misure volte non solo ad attenuare il danno subito dagli interessati, ma anche a ridurre la replicabilità dell’evento stesso, tra le quali l’attivazione di una procedura di accesso alla rete tramite vpn con doppio fattore di autenticazione.

24 Ottobre 2023

Pagamento dei ransomware: è opportuno? I pareri degli analisti di Gartner

 
Tratto da www.zerounoweb.it
Autore: Marta Abbà – Fonte TechTarget – 09/11/2021
 
 

Durante l’IT Symposium di Gartner, gli analisti hanno discusso le complessità che le aziende devono affrontare nel decidere se cedere o meno alle richieste di riscatto

 

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Se per una qualsiasi organizzazione essere colpiti da un ransomware può considerarsi quasi un evento inevitabile o molto probabile, secondo gli analisti di Gartner, il cedere invece alle richieste di riscatto è una decisione che resta nelle mani delle vittime.

Durante il Gartner IT Symposium 2021 – Americas , gli analisti di Gartner Paul Proctor e Sam Olyaei hanno discusso la gravità del panorama ransomware in una sessione dal titolo “Crossroads: Dovresti pagare il riscatto?” esprimendosi in linea di massima contro il pagamento del ransomware ma illustrando una serie di considerazioni che le imprese possono fare per valutare come muoversi, ad esempio relative alla portata dell’attacco, agli importi delle richieste di riscatto, alla propria copertura assicurativa informatica e allo stato dei backup.

Un altro elemento che rende difficile la decisione è il disallineamento tra il team di sicurezza e il management, secondo gli analisti, ma la vera pressione sulle organizzazioni proviene dall’evoluzione dei ransomware che oggi hanno ormai un vero e proprio modello di business. Al loro interno sono previsti dei soggetti che “inseguono” insistentemente le aziende e degli operatori che, dietro agli autori del ransomware, agiscono ora come professionisti, offrendo un servizio clienti e negoziatori.

Secondo Proctor, gli autori delle minacce analizzano le aziende a 360 gradi e calibrano la loro richiesta sulle entrate della singola organizzazione o sul suo budget annuale. La maggior parte degli hacker conoscono anche i termini della sua polizza di assicurazione informatica.

Proctor ha illustrato un caso recente in cui un attaccante ha avuto accesso alla policy scoprendo esattamente quanto la vittima avrebbe pagato in caso di riscatto, anche le stesse compagnie di assicurazione informatica quindi non sono al sicuro. A marzo, CNA Financial, uno delle più grandi assicurazioni statunitensi, ha subito un attacco ransomware e, secondo un rapporto di Bloomberg, la compagnia di assicurazioni ha pagato un riscatto di 40 milioni di dollari.

Dato che le aziende stanno diventando sempre più vulnerabili agli attacchi ransomware, Proctor ha suggerito di cominciare a focalizzarsi sulla cyber readiness invece che sulle minacce. “Soprattutto, quando si tratta di ransomware, come avete intenzione di rispondere? – ha detto Proctor durante la sessione – È necessario iniziare a guardare a questo attacco informatico come a qualcosa di inevitabile”.

Olyaei ha convenuto che il ransomware non è un rischio potenziale, ma una minaccia che le aziende non possono controllare: “verrete sicuramente colpite, ciò che bisogna chiedersi è: qual sarà l‘impatto sull’azienda?” ha detto durante la sessione.
 

Pagare? Non pagare? Questo è il dilemma

Mentre la maggior parte dell’incontro si è focalizzato sugli elementi da prendere in considerazione quando si è colpiti dal ransomware, la questione del se pagare o meno è stata posta dall’autore e moderatore dell’evento Mark Jeffries. Jeffries ha menzionato una conversazione che ha avuto con un ex leader della CIA che era a favore del pagamento dei riscatti, Proctor non si è detto d’accordo con questa posizione spiegando che “Gartner ha una posizione opposta, è illegale in molte giurisdizioni e ci sono nuove leggi che lo rendono illegale”.

Il dibattito sul cedere o meno ai ricatti cyber negli USA ha provocato molte discussioni con l’aumento degli attacchi ransomware e, nonostante la Casa Bianca abbia preso una posizione forte contro il pagamento, sono molte le aziende che hanno deciso di pagare comunque nell’ultimo anno, lo hanno fatto anche JBS USA, ExaGrid e Colonial Pipeline Company.

Questo sta accadendo nonostante le misure barriera inserite per scoraggiare il pagamento, comprese le recenti sanzioni che possono mettere in difficoltà le aziende che favoriscono i pagamenti dei ransomware. Per esempio, il mese scorso l’Office of Foreign Assets Control ha emesso sanzioni contro Suex, uno crypto exchange accusato di riciclare i proventi illeciti dei criminali informatici, alcuni dei quali derivati dal ransomware. Ora, pagare riscatti potrebbe portare a una violazione di quelle sanzioni.

Al di là di ciò che prevedono le nuove leggi, Proctor ha sostenuto che chi paga viene spesso hackerato di nuovo, secondo i dati di Gartner, infatti, l’80% di queste organizzazioni subisce un altro attacco ransomware.

“Pagando il riscatto agli hacker li si invita a effettuare una nuova violazione, e chi pensa che pagherà un’assicurazione informatica o che potrà mettere da parte dei soldi apposta per il riscatto per poi proseguire con il business come nulla fosse, si sbaglia perché si troverà a pagare le conseguenze della sua scelta”. Sottolineando le ripercussioni del pagamento, Proctor ha però indicato un caso in cui ritiene sia opportuno cedere alle richieste: quando una società non può in alcun modo recuperare i dati. “Se non hai un backup e non vuoi ricostruire tutti i tuoi dati da zero, a partire dal primo giorno, dovrai pagare – ha spiegato – Non hai altra scelta”.

Olyaei non ha invece preso una posizione chiara nel dibattito ma ha spiegato ciò che pagare o non pagare potrebbe significare per un’organizzazione. “Non stiamo raccomandando o suggerendo a un’organizzazione di pagare o meno” ha precisato.

Per quanto riguarda il tema del backup dei dati, Olyaei citato una ricerca di Gartner che mostra come chi paga riceva solo fino all’8% dei loro dati indietro e ha aggiunto poi che la situazione va peggiorando perché alcune delle più recenti varianti di ransomware restano in un sistema per mesi, al punto da riuscire a criptare i backup. A quel punto, ha spiegato, “non sarete mai più in grado di recuperare fino al 100% dei vostri dati”.

Mentre durante il secondo trimestre del 2021, complice il Ransomware-as-a-Service e la consapevolezza delle aziende che pagare il riscatto non dà alcuna garanzia, gli importi incassati dagli hacker sono calati del 40% (dati Coverware), anche nel contesto italiano si dibatte sul tema del pagamento del riscatto. L’Asso DPO (Associazione Data Protection Officer) illustra ad esempio come nonostante per la polizia postale, il nucleo privacy della guardia di finanza, i professionisti che si occupano di privacy e di sicurezza informatica, la risposta sarebbe un NO unanime, la realtà presenti delle sfumature più complesse e da interpretare. Spesso ciò che accade è che, non riuscendo a conoscere le esatte dimensioni di un attacco, molte aziende cercano di coprire l’accaduto per minimizzare i danni anche di brand reputation decidendo di cedere al ricatto e pagare senza pubblicizzare questa scelta. Diversa la situazione quando si fornisce un servizio pubblico oppure quando l’azienda ha dimensioni rilevanti, come nei recenti casi di Colonial Pipeline e JBS: in questi casi bisogna fornire spiegazioni anche agli investitori e prendere delle decisioni non è semplice.

L’impatto del ransomware oltre la crittografia

L’impatto della maggior parte degli attacchi di cyber, ha detto Olyaei, deriva dalla mancata risposta delle aziende, sia dal punto di vista tecnologico che di gestione delle pubbliche relazioni, e riguarda la brand reputation e la credibilità agli occhi del cliente. Tuttavia, le ricadute degli attacchi, in particolare se colpiscono infrastrutture critiche, possono porre anche altri problemi, indipendentemente dalla risposta. Secondo Proctor, ad esempio, è stato il panico del gas sulla costa orientale a danneggiare la U.S. Colonial Pipeline più che la sua risposta all’attacco ransomware, che ha incluso il pagamento di una richiesta di 4,4 milioni di dollari.

Un aspetto su cui entrambi gli analisti hanno concordato è il disallineamento tra i management e la loro scarsa comprensione degli incidenti di sicurezza che Proctor ha rilevato negli ultimi 35 anni. “Abbiamo letteralmente trattato la sicurezza come una magia e gli addetti alla sicurezza come maghi. E questo significa che diamo ai maghi un po’ di soldi e loro lanciano alcuni incantesimi e così proteggono infallibilmente l’organizzazione. E poi, se qualcosa va storto, diamo la colpa ai maghi – ha detto Proctor – questo ha portato ad investire in modo poco appropriato ed efficace”.

Questo disallineamento impatta sui livelli di preparazione dell’azienda. Una statistica di Gartner mostra che l’80% dei responsabili della sicurezza crede di essere pronto a rispondere a un attacco ransomware, mentre il numero dei manager è del 13%. Secondo Olyaei si tratta di una disconnessione culturale. Un altro elemento su cui entrambi gli analisti si trovano d’accordo è il fatto che gli attacchi ransomware sarebbero prevenibili, ciò che manca sono i protocolli di sicurezza, paragonabili alle norme di igiene di base: indispensabili. Continuando la metafora ha affermato che “è come se stessimo lasciando le nostre porte e le nostre finestre aperte, spalancate, come se non ci lavassimo i denti e non andassimo a dormire all’ora giusta la sera. Queste sono le ragioni di base per cui veniamo colpiti dal ransomware”. La percentuale di attacchi prevenibili è il 90% e, secondo Proctor se l’investimento in adeguati controlli di cybersecurity è adeguato la decisione se pagare o meno il riscatto non si pone: “Se stai affrontando questa decisione, hai già perso”.

10 Novembre 2021

Hanno cifrato i vostri dati: e adesso?

 

 
 
Tratto da: Blog Kaspersky
Autore: Chris Connell – 18/02/2021
 
 
Ecco come ridurre al minimo le conseguenze di un attacco ransomware aziendale
 
 

 

A volte, nonostante tutte le precauzioni, un’infezione riesce a insinuarsi nella vostra rete. In questo caso, bisogna avere sangue freddo per portare a termine operazioni rapide e decisive. La vostra risposta contribuirà a determinare se l’incidente diventerà un enorme grattacapo per l’azienda o sarà il suo fiore all’occhiello grazie a un’eccellente gestione della crisi.

Durante il processo di ripristino della situazione normale, non dimenticate di conservare testimonianze di tutte le vostre azioni, che assicurino la trasparenza agli occhi dei dipendenti e del mondo intero. E cercate di preservare ogni traccia possibile del ransomware per i successivi sforzi di localizzare qualsiasi altro strumento dannoso che prende di mira il vostro sistema. Questo significa salvare i log e altre tracce del malware che possono tornare utili durante le indagini successive.

Step 1: individuare e isolare

Il primo passo è quello di determinare la portata dell’intrusione. Il malware si è diffuso in tutta la rete? In più di un ufficio?

Cominciate a cercare i computer e i segmenti di rete infetti nell’infrastruttura aziendale e isolateli immediatamente dal resto della rete, per contenere la contaminazione.

Se l’azienda non ha molti computer, iniziate con un antivirus, una soluzione EDR e dei file log firewall. In alternativa, per implementazioni molto limitate, passate fisicamente da un dispositivo all’altro e controllate.

Se stiamo parlando di molti computer, vorrete analizzare gli eventi e i log nel sistema SIEM. Questo non eliminerà tutto il lavoro successivo di passaggio da un dispositivo all’altro, ma è un buon inizio per delineare il quadro generale.

Dopo aver isolato i dispositivi infetti dalla rete, create delle immagini disco e, se possibile, non toccate questi dispositivi fino alla fine dell’indagine (se l’azienda non può permettersi il tempo di inattività dei computer, create comunque le immagini, e salvate il dump della memoria per l’indagine).

Step 2: analizzare e agire

Avendo controllato il perimetro, ora disponete di una lista dei dispositivi i cui dischi sono pieni di file cifrati, più le immagini di quei dischi. Tutti i sistemi sono stati scollegati dalla rete e non rappresentano più una minaccia. Si potrebbe iniziare subito il processo di recupero, ma prima occupatevi della messa in sicurezza del resto della rete.

Ora è il momento di analizzare il ransomware, capire come è entrato e quali categorie lo usano di solito; va iniziato, quindi, il processo di caccia alle minacce. Il ransomware non compare dal nulla: un dropper, un RAT, un Trojan loader o qualcosa di simile lo ha installato. È necessario sradicare quel qualcosa.

Per farlo, conducete un’indagine interna. Scavate nei log per determinare quale computer è stato colpito per primo e perché quel computer non è riuscito a fermare l’assalto.

Sulla base dei risultati dell’indagine, liberate la rete dal malware avanzato e, se possibile, riavviate le operazioni aziendali. Successivamente, cercate di capite cosa avrebbe potuto fermarlo: cosa mancava in termini di software di sicurezza? Colmate le lacune riscontrate.

Step 3: fare pulizia e ripristinare

A questo punto, avrete già gestito la minaccia alla rete, così come la relativa falla da cui è passata. Ora, rivolgete la vostra attenzione ai computer che sono fuori servizio. Se non sono più necessari per l’indagine, formattate le unità e poi ripristinate i dati con il backup pulito più recente.

Se non disponete di una copia di backup adeguata, allora dovrete cercare di decifrare ciò che si trova sulle unità. Iniziate dal sito No Ransom di Kaspersky, dove potrebbe già esistere un decryptor per il ransomware in cui vi siete imbattuti e, se non esiste, contattate il vostro fornitore di servizi di sicurezza informatica per verificare l’esistenza di un aiuto. In ogni caso, non eliminate i file cifrati: di tanto in tanto appaiono nuovi decryptor, e domani potrebbe essercene uno che fa al caso vostro (non sarebbe la prima volta).

Indipendentemente dai particolari, non pagate il riscatto. Sponsorizzereste un’attività criminale, e comunque, le possibilità di ottenere indietro i vostri dati non sono alte. Oltre a bloccare i vostri dati, gli autori del ransomware potrebbero averli rubati proprio a scopo di ricatto. Infine, pagare gli avidi criminali informatici li incoraggia a chiedere più soldi. In alcuni casi, solo pochi mesi dopo essere stati pagati, gli intrusi sono tornati per chiedere un’ulteriore somma di denaro, minacciando di pubblicare tutto se non l’avessero ottenuta.

In generale, considerate qualsiasi dato rubato di dominio pubblico e siate pronti ad affrontare una fuga di informazioni. Prima o poi dovrete parlare dell’incidente: con i dipendenti, gli azionisti, le agenzie governative e, molto probabilmente, anche con i giornalisti. Apertura e onestà sono importanti e saranno sempre qualità apprezzate.

Step 4: prendere misure preventive

Un grande incidente informatico equivale sempre a grossi problemi; perciò, la prevenzione è la miglior cura. Preparatevi in anticipo a ciò che potrebbe andare storto:

  • Installate una protezione affidabile su tutti gli endpoint della rete (compresi gli smartphone);
  • Segmentate la rete e dotatela di firewall ben configurati; meglio ancora, utilizzate un firewall di nuova generazione (NGFW) o un prodotto simile che riceva automaticamente i dati sulle nuove minacce;
  • Guardate oltre l’antivirus e fate uso di potenti strumenti di caccia alle minacce;
  • Impiegate un sistema SIEM (per le grandi aziende) per ricevere notifiche immediate;
  • Informate i dipendenti sull’importanza della cybersecurity mediante sessioni regolari e interattive di formazione.

22 Febbraio 2021