Permessi Ztl: dati accessibili a chiunque. Sanzione del Garante a Roma Capitale

 
 
Tratto da www.garanteprivacy.it
 
 
 
 

Il Comune di Roma e la società dei servizi per la mobilità sono stati sanzionati dal Garante per la Privacy per non aver adeguatamente protetto i dati dei cittadini ai quali era stato assegnato il permesso di accesso alle zone a traffico limitato. Le sanzioni, per complessivi 410mila euro, sono arrivate all’esito dell’istruttoria avviata in seguito a una segnalazione e ad alcuni articoli della stampa sui problemi relativi al controllo dei pass ZTL.

Dai riscontri raccolti dall’Autorità, è emerso che i permessi di accesso esposti sulle vetture presentavano un codice a barre bidimensionale (QR code) che consentiva agli addetti di verificare in tempo reale la validità del contrassegno e a chi era stato assegnato. Tale codice, però, poteva essere letto con una semplice applicazione (app) installata nella maggior parte degli smartphone in commercio. Chiunque, quindi, poteva accedere al nominativo del titolare del permesso (ad esempio il nome dell’azienda, dell’istituzione, della scuola specifica, o della persona fisica), al nominativo del suo utilizzatore e alla categoria del richiedente, nonché alla targa del veicolo.

Durante le verifiche del Garante è stata riscontrata un’ulteriore criticità nella gestione dei dati: chiunque, dopo essersi collegato, tramite il QR code, alla pagina web con i dati del permesso esaminato, poteva accedere anche alle informazioni relative agli assegnatari di altri pass semplicemente modificando il numero identificativo del contrassegno (PID).

Differenti le responsabilità del Comune e della società per l’illecita diffusione dei dati personali dei possessori dei pass.

La società di servizi per la mobilità – designata responsabile del trattamento dei dati da Roma Capitale – non aveva valutato correttamente i rischi e aveva progettato e realizzato un sistema informativo inadeguato, che non limitava l’accesso ai dati alle sole persone autorizzate. Anche il Comune – titolare del trattamento dei dati relativi ai pass –non aveva adottato misure tecniche e organizzative idonee a garantire un livello di sicurezza adeguato agli specifici rischi del trattamento. Roma Capitale, tra l’altro, non aveva fornito alla società di servizi per la mobilità istruzioni specifiche per trattare correttamente i dati personali degli utenti del servizio (titolari dei permessi ZTL e utilizzatori), impedendo l’accesso da parte di terzi non autorizzati. Il Comune non aveva neppure proceduto a designare responsabile del trattamento un’ulteriore società che forniva il servizio di “hosting” dei sistemi informatici utilizzati per la gestione dei permessi.

Il Garante per la protezione dei dati personali ha dunque adottato due distinti provvedimenti correttivi e sanzionatori. A Roma Capitale ha applicato una sanzione di 350.000 euro, calcolata tenendo conto dell’elevato numero di persone interessate, dell’esteso lasso temporale della violazione, nonché delle precedenti violazioni in materia di privacy già commesse dall’ente locale. Alla società per la mobilità, in considerazione delle prime misure tecniche e organizzative già adottate per limitare il problema, è stata invece irrogata una sanzione di 60.000 euro. Ad entrambi sono state inoltre imposte misure correttive per limitare la consultazione dei dati personali relativi ai permessi ZTL.

31 Marzo 2021

Sanzione del Garante privacy alla Regione Lazio

 
 
Tratto da www.garanteprivacy.it
 
 

Non aveva designato responsabile del trattamento la cooperativa che gestiva il call center del CUP

Il Garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato la Regione Lazio per 75.000 euro per non aver nominato responsabile del trattamento dati la Società Cooperativa Capodarco, a cui l’Ente aveva affidato la gestione delle prenotazioni delle prestazioni sanitarie, attraverso il call center regionale (ReCUP).

La società ha dunque trattato i dati dei pazienti in modo illecito per un decennio, dal 1999 al 7 gennaio 2019, data in cui la Regione Lazio, in qualità di titolare, ha designato formalmente la Cooperativa responsabile del trattamento, ben oltre l’inizio di piena applicazione del Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali.

Con il provvedimento il Garante ha ribadito che le società che prestano servizi per conto del titolare e che di conseguenza trattano i dati personali degli utenti, devono essere designate responsabili del trattamento. Il rapporto tra titolare e responsabile deve essere regolato da un contratto o da altro atto giuridico, stipulato per iscritto che, oltre a vincolare reciprocamente le due figure, prevede nel dettaglio le regole e i limiti con cui devono essere trattati i dati personali. Il responsabile è, pertanto, legittimato a trattare i dati degli interessati “soltanto su istruzione documentata del titolare”.

Inoltre, come recentemente evidenziato dall’Edpb, il Comitato che riunisce le Autorità di protezione dati dell’Ue, l’assenza di una chiara definizione del rapporto tra titolare e responsabile può sollevare il problema della mancanza di base giuridica su cui ogni trattamento deve fondarsi: ad esempio, per quanto riguarda la comunicazione dei dati tra titolare e responsabile.

Rilevato l’illecito, l’Autorità ha multato la Regione per 75.000 euro ed ha applicato la sanzione accessoria della pubblicazione del provvedimento sul sito dell’Autorità.

Il Garante ha ritenuto invece sufficiente ammonire il titolare della Cooperativa perché la Società Capodarco aveva più volte rappresentato alla Regione la necessità di essere nominata responsabile del trattamento e messo in atto misure conformi alla disciplina privacy, istituendo, ad esempio, il registro dei trattamenti.

12 Marzo 2021

Vaccinazione dei dipendenti: le FAQ del Garante privacy

 
 
Tratto da www.garanteprivacy.it
 

Il datore di lavoro può chiedere ai propri dipendenti di vaccinarsi contro il Covid per accedere ai luoghi di lavoro e per svolgere determinate mansioni, ad esempio in ambito sanitario? Può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati? O chiedere conferma della vaccinazione direttamente ai lavoratori?

A queste domande ha risposto il Garante per la privacy con le Faq pubblicate sul sito www.gpdp.it. L’intento dell’Autorità è quello di fornire indicazioni utili ad imprese, enti e amministrazioni pubbliche affinché possano applicare correttamente la disciplina sulla protezione dei dati personali nel contesto emergenziale, anche al fine di prevenire possibili trattamenti illeciti di dati personali e di evitare inutili costi di gestione o possibili effetti discriminatori.

Nelle Faq è spiegato che il datore di lavoro non può acquisire, neanche con il consenso del dipendente o tramite il medico competente, i nominativi del personale vaccinato o la copia delle certificazioni vaccinali. Ciò non è consentito dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro né dalle disposizioni sull’emergenza sanitaria. Il consenso del dipendente non può costituire, in questi casi, una condizione di liceità del trattamento dei dati. Il datore di lavoro può, invece, acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica redatti dal medico competente.

Il Garante ha chiarito inoltre che – in attesa di un intervento del legislatore nazionale che eventualmente imponga la vaccinazione anti Covid-19 quale condizione per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni – nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario, si applicano le disposizioni vigenti sulle “misure speciali di protezione” previste per tali ambienti lavorativi (art. 279 del d.lgs. n. 81/2008).

Anche in questi casi, solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario e il contesto lavorativo, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti. Il datore di lavoro deve quindi limitarsi attuare, sul piano organizzativo, le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità.

1 Marzo 2021

Lavoro: Garante, no all’uso delle impronte digitali dei dipendenti se manca base normativa

 
 
Tratto da www.garanteprivacy.it
 
 
Sanzione di 30.000 euro ad una Asp
 
 

Il Garante ha sanzionato per 30.000 euro l’Azienda sanitaria provinciale (Asp) di Enna per l’utilizzo di un sistema di rilevazione delle presenze basato sul trattamento di dati biometrici dei dipendenti. A seguito del rafforzamento delle garanzie previste dal Regolamento e dal Codice privacy, per installare questo tipo di sistemi è necessaria infatti una base normativa che sia proporzionata all’obiettivo perseguito e che fissi misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti degli interessati. Nel caso della Asp di Enna la base normativa invocata era carente, non essendo stato adottato il regolamento attuativo della legge 56/2019 (poi abrogata) che doveva stabilire garanzie per circoscrivere gli ambiti di applicazione e regolare le principali modalità del trattamento.

L’istruttoria dell’Autorità, avviata a seguito di alcuni articoli di stampa, ha consentito di accertare che il sistema di rilevazione presenze dell’Asp di Enna acquisiva le impronte digitali di oltre 2.000 dipendenti memorizzandole in forma crittografata sul badge di ciascun lavoratore. L’Azienda, poi, verificava l’identità del dipendente mediante il confronto tra il modello biometrico di riferimento, memorizzato all’interno del badge, e l’impronta digitale presentata all’atto del rilevamento della presenza e trasmetteva il numero di matricola del dipendente, la data e l’ora della timbratura, al sistema di gestione delle presenze.

L’Autorità ha ritenuto, contrariamente a quanto sostenuto dall’Azienda sanitaria, che in questo modo si effettuava un trattamento di dati biometrici dei dipendenti (sia all’atto dell’emissione del badge, sia all’atto della verifica dell’impronta in occasione di ogni “timbratura” di ciascun dipendente,) in assenza di una idonea base giuridica. Né il consenso dei dipendenti, invocato dall’Asp quale fondamento del trattamento, può essere considerato valido, nel contesto lavorativo, a maggior ragione pubblico, per effetto dello squilibrio del rapporto tra dipendente e datore di lavoro.

Inoltre la struttura sanitaria, pur avendo informato il personale e i sindacati della scelta organizzativa compiuta, non aveva fornito tutte le informazioni sul trattamento, come richiesto dal Regolamento europeo in materia di privacy.

Considerati tutti gli aspetti della vicenda, il Garante ha dichiarato illecito il trattamento dei dati biometrici e ha applicato all’Asp 30.000 euro di sanzione. Ha inoltre disposto la cancellazione dei modelli biometrici memorizzati all’interno dei badge e chiesto all’Asp di far conoscere le iniziative che intende intraprendere per far cessare il trattamento dei dati biometrici dei dipendenti.

22 Febbraio 2021

Data breach: le istruzioni dei Garanti privacy Ue per gestire le violazioni di dati

 
Tratto da www.garanteprivacy.it
 
 
Adottate le nuove linee guida, avviata una consultazione pubblica europea
 
 

Come procedere in caso di attacchi ransomware, di esfiltrazione di dati, di perdita o furto di dispositivi e documenti cartacei? A questa e ad altre domande rispondono le linee guida, adottate dall’Edpb (Comitato europeo per la protezione dei dati), per aiutare imprese e pubblica amministrazione ad affrontare correttamente le violazioni dei dati e definire i processi di gestione del rischio.

Le “Guidelines 01/2021 on Examples regarding Data Breach Notification”, approvate nella riunione plenaria del 14 gennaio scorso, si basano sull’analisi dei casi più significativi di violazione dei dati – affrontati dai Garanti privacy nazionali, incluso quello italiano – subiti da banche, ospedali, medie imprese, municipalità, società che offrono servizi online di vario genere.

Sul documento l’Edpb ha avviato una consultazione pubblica per un periodo di sei settimane (fino al 2 marzo 2021).

Le linee guida presentano, per ciascuna casistica, esempi di buone o cattive pratiche, raccomandano modalità di identificazione e valutazione dei rischi (evidenziando i fattori che meritano particolare considerazione), indicano in quali casi chi tratta i dati deve notificare la violazione all’Autorità Garante e, se necessario, informare le persone coinvolte.

Tra le mancanze più frequenti ricordati dalle Linee guida vi è, ad esempio, l’omessa cifratura dei dati che consente a chi li acquisisce in maniera fraudolenta di consultare informazioni riservate. Potrebbe facilitare violazioni anche la non corretta gestione dell’autenticazione degli utenti a siti web, magari a causa dell’utilizzo di password deboli o conservate in chiaro. Nel settore bancario, potrebbe causare enormi danni l’impiego di identificativi di sessione all’interno degli indirizzi web degli utenti, informazioni che facilitano l’accesso illecito a contenuti che dovrebbero rimanere protetti. Drammatiche potrebbero essere le conseguenze di un attacco ransomware (un virus informatico che rende inservibili i dati fino al pagamento di un eventuale riscatto) ai referti e ad altri documenti dei pazienti di un ospedale, a meno che la struttura sanitaria non abbia provveduto a effettuare un backup separato dei dati. Non bisogna sottovalutare anche i problemi che può causare una semplice e-mail spedita ai destinatari sbagliati.

Il testo, che integra e aggiorna gli orientamenti già forniti negli anni passati dal Gruppo “Articolo 29”, proprio per offrire un contributo concreto a imprese e Pa, analizza anche le misure adottate dai titolari del trattamento, prima di aver subito un data breach, per prevenire o attenuare i rischi di una potenziale violazione dei dati. E propone una lista di misure di prevenzione ai vari problemi rilevati.

27 Gennaio 2021