E-mail dei dipendenti, il Garante privacy avvia una consultazione pubblica

Tratto da www.garanteprivacy.it – Newsletter del 27/02/2024

Per rispondere alle numerose richieste di chiarimenti ricevute, il Garante ha dunque deciso di differire l’efficacia del documento di indirizzo e promuovere una consultazione pubblica di 30 giorni sulle forme e modalità di utilizzo che renderebbero necessaria una conservazione dei metadati superiore a quella ipotizzata nel documento di indirizzo.

Come già comunicato il 6 febbraio scorso nel nostro blog, il Garante, per richiamare l’attenzione su alcuni aspetti che potrebbero essere in contrasto con la disciplina di protezione dei dati e le norme a tutela del lavoratore, ha recentemente pubblicato il documento di indirizzo “Programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica nel contesto lavorativo e trattamento dei metadati”, con cui – in particolare – viene indicato in 7 giorni, estensibili di 48 ore per comprovate esigenze, il periodo di conservazione dei metadati degli account dei servizi di posta elettronica. 

Datori di lavoro pubblici e privati, esperti della disciplina di protezione dei dati e tutti i soggetti interessati avranno a disposizione 30 giorni, a partire dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, per inviare al Garante le proprie osservazioni, i commenti, le informazioni, le proposte e tutti gli elementi ritenuti utili, tramite posta ordinaria o alle caselle protocollo@gpdp.it oppure protocollo@pec.gpdp.it

27 Febbraio 2024

Lavoro: dal Garante Privacy nuove tutele per la email dei dipendenti. Varato un Documento di indirizzo sulla conservazione dei metadati

Tratto da www.garanteprivacy.it – Newsletter del 06/02/2024

I datori di lavoro pubblici e privati che per la gestione della posta elettronica utilizzano programmi forniti anche in modalità cloud da oggi hanno a disposizione nuove indicazioni utili a prevenire trattamenti di dati in contrasto con la disciplina sulla protezione dei dati e le norme che tutelano la libertà e la dignità dei lavoratori.

Il Garante per la protezione dei dati personali ha infatti adottato un documento di indirizzo denominato “Programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica nel contesto lavorativo e trattamento dei metadati” rivolto ai datori di lavoro pubblici e privati.

Il documento nasce a seguito di accertamenti effettuati dall’Autorità dai quali è emerso che alcuni programmi e servizi informatici per la gestione della posta elettronica, commercializzati da fornitori anche in modalità cloud, sono configurati in modo da raccogliere e conservare – per impostazione predefinita, in modo preventivo e generalizzato – i metadati relativi all’utilizzo degli account di posta elettronica dei dipendenti (ad esempio, giorno, ora, mittente, destinatario, oggetto e dimensione dell’email). In alcuni casi è emerso anche che i sistemi non consentono ai datori di lavoro di disabilitare la raccolta sistematica dei dati e ridurre il periodo di conservazione.

Con il documento odierno il Garante chiede quindi ai datori di lavoro di verificare che i programmi e i servizi informatici di gestione della posta elettronica in uso ai dipendenti (specialmente in caso di prodotti di mercato forniti in cloud o as-a-service) consentano di modificare le impostazioni di base, impedendo la raccolta dei metadati o limitando il loro periodo di conservazione ad un massimo di 7 giorni, estensibili, in presenza di comprovate esigenze, di ulteriori 48 ore. Periodo considerato congruo, sotto il profilo prettamente tecnico, per assicurare il regolare funzionamento della posta elettronica in uso al lavoratore.

I datori di lavoro che per esigenze organizzative e produttive o di tutela del patrimonio anche informativo del titolare (in particolare, ad esempio, per specifiche esigenze di sicurezza dei sistemi) avessero necessità di trattare i metadati per un periodo di tempo più esteso, dovranno espletare le procedure di garanzia previste dallo Statuto dei lavoratori (accordo sindacale o autorizzazione dell’ispettorato del lavoro). L’estensione del periodo di conservazione oltre l’arco temporale fissato dal Garante può infatti comportare un indiretto controllo a distanza dell’attività del lavoratore.

6 Febbraio 2024

Responsabile protezione dati, il Garante sanziona 4 Comuni. Al via una nuova serie di controlli su una vasta platea di enti locali

Tratto da www.garanteprivacy.it – Newsletter del 06/02/2024
 
Con l’adozione di quattro provvedimenti [doc. web n. 9979112, 9979128, 9979152, 9979171] sanzionatori nei confronti di enti locali, il Garante Privacy ha concluso la prima fase dell’indagine avviata per verificare il rispetto dell’obbligo di comunicazione all’Autorità dei dati di contatto del Responsabile della protezione dei dati (RPD, o Data protection officer, DPO).

Ed è già al via una nuova serie di controlli indirizzati ad una platea ancora più ampia di Comuni che non hanno comunicato all’Autorità i dati di contatto del RPD.

Rilevata la violazione per la mancata comunicazione del RPD il Garante ha comminato a tre enti locali una sanzione di 2.000 euro ciascuno, mentre al quarto ha applicato una sanzione di 5.000 euro, maggiorata poiché l’inadempimento ha riguardato la nomina di due RPD.

In tutti i provvedimenti sanzionatori il Garante ha ricordato che, per essere in linea con il Regolamento Ue, se il titolare del trattamento dei dati personali è un soggetto pubblico, quali, ad esempio, amministrazioni dello Stato, Regioni, Province, Comuni, università, aziende del Servizio sanitario nazionale, è obbligato a designare un RPD e a comunicarne i dati di contatto al Garante privacy, attraverso l’apposita procedura messa a disposizione dall’Autorità sul suo sito.

L’obbligo della comunicazione, previsto nel Regolamento Ue, mira a garantire la possibilità per l’Autorità di garanzia di contattare in modo facile e diretto il RPD, figura che ha tra i suoi compiti anche quello di fungere da punto di riferimento fra il titolare (o responsabile) del trattamento e l’Autorità stessa.

Misure di sicurezza inadeguate: il Garante sanziona una Asl

 
Tratto da www.garanteprivacy.it – Newsletter del 23/10/2023
 

Sanzione del Garante privacy di 30.000 euro ad una Asl napoletana per non aver protetto adeguatamente da attacchi hacker i dati personali e i dati sanitari di 842.000 tra assistiti e dipendenti.

La struttura sanitaria aveva subito un attacco ransomware che attraverso un virus aveva limitato l’accesso al data base della struttura sanitaria e richiesto un riscatto per ripristinare il funzionamento dei sistemi.

Come previsto dalla normativa in materia protezione di dati personali, l’Asl aveva provveduto a comunicare il data breach al Garante che ha immediatamente aperto un’istruttoria sull’accaduto per verificare le misure tecniche e organizzative adottate dalla Asl sia prima che dopo l’attacco subito.

Diverse le importanti criticità rilevate dal Garante a seguito dell’attività ispettiva, come la mancata adozione di misure adeguate a rilevare tempestivamente la violazione dei dati personali e a garantire la sicurezza delle reti, anche in violazione del principio della protezione dei dati fin dalla progettazione (privacy by design). L’accesso alla rete tramite vpn avveniva infatti mediante una procedura di autenticazione basata solo sull’utilizzo di username e password. Inoltre, la carenza di segmentazione delle reti aveva causato la propagazione del virus all’intera infrastruttura informatica.

Nel sanzionare l’illecito il Garante ha tenuto conto del fatto che il data breach ha riguardato dati idonei a rilevare informazioni sulla salute di un numero molto rilevante di interessati, ma anche dell’atteggiamento non intenzionale e collaborativo della Asl. Dopo l’accaduto, l’azienda ha adottato una serie di misure volte non solo ad attenuare il danno subito dagli interessati, ma anche a ridurre la replicabilità dell’evento stesso, tra le quali l’attivazione di una procedura di accesso alla rete tramite vpn con doppio fattore di autenticazione.

24 Ottobre 2023

D. Lgs. n.24/2023: obbligo di istituire un canale interno di segnalazione di un illecito nell’ambito del contesto lavorativo (whistleblowing)

 

Argonavis può oggi supportare le aziende e gli enti, pubblici e privati, che devono adempiere agli obblighi del Decreto Legislativo Italiano di attuazione n.24 del 10 marzo 2023 relativi al whistleblowing. Il decreto è entrato in vigore il 30 marzo 2023 e le disposizioni ivi previste sono efficaci dal 15 luglio 2023. 

Solo per i soggetti del settore privato che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato, fino a 249, l’obbligo di istituire un canale interno di segnalazione decorre dal 17 dicembre 2023.

La protezione dei segnalanti operanti nel settore privato, prevista dal D.lgs. n. 24/2023, impone l’obbligo di predisporre canali di segnalazione a carico di quegli enti del medesimo settore che soddisfano almeno una delle seguenti condizioni*:

  • hanno impiegato, nell’ultimo anno, la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato;
  • si occupano di alcuni specifici settori (servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio o del finanziamento del terrorismo, sicurezza dei trasporti e tutela dell’ambiente), anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato;
  • adottano i modelli di organizzazione e gestione di cui al decreto legislativo 231/2001, anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato. 

L’obbligo di predisporre i canali di segnalazione interna grava altresì sui seguenti soggetti del settore pubblico:

  • le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
  • le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza o regolazione
  • gli enti pubblici economici, gli organismi di diritto pubblico di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50
  • i concessionari di pubblico servizio, le società a controllo pubblico e le società in house, così come definite, rispettivamente, dall’articolo 2, comma 1, lettere m) e o), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, anche se quotate.

Le violazioni possono essere comportamenti, atti od omissioni che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato e che consistono in:

  • illeciti amministrativi, contabili, civili o penali; 
  • condotte illecite rilevanti ai sensi del decreto legislativo 231/2001, o violazioni dei modelli di organizzazione e gestione ivi previsti;
  • illeciti che rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’Unione europea o nazionali relativi ai seguenti settori: appalti pubblici; servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; sicurezza e conformità dei prodotti; sicurezza dei trasporti; tutela dell’ambiente; radioprotezione e sicurezza nucleare; sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali; salute pubblica; protezione dei consumatori; tutela della vita privata e protezione dei dati personali e sicurezza delle reti e dei sistemi informativi;
  • atti od omissioni che ledono gli interessi finanziari dell’Unione; 
  • atti od omissioni riguardanti il mercato interno; 
  • atti o comportamenti che vanificano l’oggetto o la finalità delle disposizioni di cui agli atti dell’Unione.

L’ANAC, l’Autorità Nazionale Anti Corruzione, in caso di inadempienza, può applicare sanzioni da 10.000 a 50.000 euro quando accerta che non sono stati istituiti canali di segnalazione, che non sono state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni ovvero che l’adozione di tali procedure non è conforme a quella richiesta dalla legge, nonché quando accerta che non è stata svolta l’attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute.

La piattaforma per il whistleblowing proposta da Argonavis, sviluppata da un Partner, è conforme allo standard ISO 37002, alla Direttiva UE 2019/1937 e al Decreto Legislativo Italiano di attuazione n.24 del 10 marzo 2023; grazie a politiche di conservazione di dati aderenti al GDPR, consente ai segnalatori di condividere dati criptati restando nell’anonimato; gli indirizzi IP da cui parte la segnalazione, infatti, non vengono registrati.

L’interfaccia, accessibile via web, permette all’utente di inserire agevolmente la propria segnalazione, scritta o orale, e al ricevente di analizzare, categorizzare e gestire ogni caso con semplicità.

Con la piattaforma, vengono gestite entro i termini di legge sia la conferma della ricezione della segnalazione (entro 7 giorni dalla medesima) sia il riscontro alla segnalazione (entro 3 mesi dall’avviso del ricevimento). Le segnalazioni e i relativi follow up vengono archiviati per almeno 5 anni.

Per ulteriori informazioni: dircom@argonavis.it

*Fonte: sito ANAC, www.anticorruzione.it

 

 

 

20 Ottobre 2023